mercoledì 17 aprile 2013

WC


Sono in stanza sdraiato sul letto a riposarmi. Devo ammettere che il viaggio è stato un poco stancante. Sette ore di treno sono tante ma è stata una mia scelta. Amo fare di testa mia e poi pentirmi. Comunque non c’è niente da fare in treno scrivo meglio, ho la tranquillità necessaria. In aereo invece succede tutto così rapidamente che i pensieri non fanno in tempo ad accendersi e diventare idee che si è arrivati già a destinazione. Sento di aver bisogno di assimilare la distanza.

La stanza dell’hotel è squallida ma c’è tutto quello di cui ho bisogno per passare la notte. Guardo fuori dalla finestra: la pioggia cade fitta. L’ho portata io da Milano ne sono sicuro. Mi ha seguito anche qui. Suona il telefono. Sono arrivati a prendermi. Mi guardo allo specchio, sistemo la mia camicia preferita di lino, metto la giacca a vento ed esco.

Nella “hall” c’è  una signora  che mi aspetta sorridente. Mi viene incontro. Contraccambio il sorriso. Ci stringiamo la mano ed usciamo dall’hotel. In macchina c’è suo marito. Sarà  il nostro Caronte fino a destinazione. Noto che sulla portiera della macchina troneggia la locandina del festival raffigurante una bella immagine presa dal film del mio amico Ivan.

Fuori dal finestrino scorre la periferia parigina in tutto il suo squallore molto simile a quella milanese. Anche qui ci sono tanti casermoni frutto di una sconsiderata edilizia popolare. Mi si leva il fiato a  pensare quante quante vite pulsino là dentro. Quante storie ci siano da raccontare.

I miei compagni di viaggio mi fanno i complimenti per il film, dicono di averlo molto amato. E’ strano ma in Francia il mio film sembra parlare maggiormente alle persone.

Arriviamo al cinema Jacques Tati con un’ora di anticipo. Beviamo una birra nel bar adiacente  alla sala e conosco altre persone che fanno parte dell’associazione organizzatrice del festival. In Francia è pieno di realtà simili che hanno lo scopo di  promuovere la cultura italiana sul territorio. Grazie ad esse il mio film ha avuto una buona visibilità.

Mentre sorseggio la mia birra e sgranocchio delle  noccioline osservo le pareti del bar. Ci sono locandine di vecchi film francesi e quelle dei film italiani che partecipano al festival. Della mia neanche l’ombra...

La sala è piena di gente. Il direttore del cinema mi presenta. Io saluto e ringrazio rispolverando il mio francese da scuola media, ci tengo a comunicare nella lingua di chi mi ospita mi sembra un segno di civiltà e cortesia. 

Si spengono le luci, il film inizia.

Vado a mangiare con gli organizzatori, sempre nel bar adiacente, sì  quello lì  dove la locandina del mio film manca...  Il cibo non è un granché ma chi mi conosce sa che non mi fermo davanti a nulla. Il vino è buono  e la compagnia ancor meglio.

Il film è terminato. Vengo accolto da un caloroso applauso. Il dibattito è lungo ed intenso. E’ molto bello parlare a chi ha appena visto il tuo film. Rispondere alle critiche, sorridere a un complimento o motivare una scelta. In questi momenti mi dico sempre di non prendermi troppo sul serio. Noi registi abbiamo un ego smisurato che spesso si impossessa di noi. Diffidate da chi vi racconta il contrario.

Ora che ci penso avevo anche scritto una piccola storia a riguardo, un esorcista per registi. Comunque…

Ritorniamo al solito bar dove l’organizzazione offre un rinfresco agli spettatori. Continuo a parlare con la gente, a rispondere a domande, a cercare di farmi capire nel mio francese stentato. Quando sento l’impellente bisogno di andare al bagno. 

Camminando verso la toilette tiro le somme della serata. Mi ritengo soddisfatto, il film  sembra essere  piaciuto. Peccato solo per la locandina... Però  i francesi si confermano essere degli intenditori del buon cinema.  Sorrido tra me . Forse dovrei trasferirmi a Parigi!

Quand’ecco che arrivo davanti alla porta della toilette e tutto improvvisamente ritorna al suo posto riportandomi con i piedi per terra.



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