Incontro con Stefano
Tummolini
[Regista,sceneggiatore,
traduttore]
La nostra chiacchierata comincia nel corridoio di un piccolo
supermercato del quartiere di Testaccio. Sono le sette di sera. Stefano ha
avuto una giornata molto piena ed ha il frigo vuoto. Lo accompagno a fare la
spesa. Tra gli scaffali della frutta e della verdura incominciamo a parlare di
libri e di letteratura americana.
Amo l’informalità. Mi sento a mio agio. Stefano fa tante cose nella vita ma
oggi lo incontro per parlare della bella traduzione che ha curato per conto di
Fazi Editore del romanzo Stoner di John Edward Williams.
Come sei arrivato a Stoner?
E’ Stoner che è arrivato a me. Lavoro per Fazi Editore da tanti
anni e me lo hanno proposto. Non pensavo fosse un libro così speciale. Non l’ho cercato ma è arrivato.
Che cosa hai provato appena lo hai
letto?
Ho pensato fosse
bellissimo. Non lo conoscevo prima. Stoner è un libro dimesso per come si presenta al lettore
ma con il grande pregio di colpirti dritto al cuore. E’ così profondo e delicato che poi ne rimani
completamente soggiogato.
Non ti ha spaventato l’idea di tradurre un libro così riuscito?
No, perchè l’ho
sentito molto vicino a me. Mi sono identificato nel protagonista e sopratutto
nel narratore, il quale con uno sguardo un po’ malinconico
prende atto che la vita spesso è una sconfitta, nonostante nei rapporti umani si nascondano delle
vittorie quasi invisibili ma molto importanti. Trovo bellissimo per esempio il
rapporto di Stoner con sua figlia. Pur essendo un rapporto così tragico perché il padre non riesce ad aiutarla a trovare la sua felicità, tra loro esiste una profonda
comprensione, come se reciprocamente fossero gli unici a riuscire a guardarsi
veramente l’un l’altro ed ad essere solidali.
Pensi che te lo abbiano proposto perchè hanno intuito che ci potesse essere
una certa affinità
tra te e J. E. Williams?
Forse sì. Io lavoro da tanto tempo per loro e sanno quali
sono le mie corde. E’ Laura Senserini,
caporedattrice di Fazi Editore, che prende queste scelte. Ricordo che era un
periodo in cui cercavo un libro facile da tradurre. Facendo questo mestiere uno
impara presto che a volte conviene tradurre un libro lungo ma poco impegnativo
piuttosto che un libro piccolo ma molto difficile, che magari richiede il
doppio del lavoro e ti viene pagato la metà. Ma siccome Laura è
furba, prima mi ha fatto credere di affidarmi la traduzione di un libro
lungo ma facile, e poi all’ultimo mi ha “rifilato” Stoner. Ed ho pensato che anche questa volta mi
aveva fregato. Invece ha avuto ragione lei. Alla fine per quanto ti costi fatica e sacrificio, perché il lavoro del traduttore è abbastanza ingrato sopratutto dal
punto di vista economico, se ti capita la fortuna di tradurre un libro così bello e riuscito comunque ne vale la
pena. E io devo dire che mi è capitato veramente poche volte di
avere così tanta
soddisfazione da un libro.
E’ stato difficile restituire la voce
dell’autore?
Sinceramente non mi pongo mai questo problema. Dopo un po’ che traduco mi succede sempre una cosa
strana, sento di essere come posseduto dall’autore, di diventare come lui. Dopo le prime pagine
che sono sempre quelle più
faticose in un qualche modo avverto di cominciare a scrivere come lui. Una
volta beccata la nota dominante del testo poi è solo una questione di mantenere il ritmo. Perchè la prosa ha un andamento, se si entra
in quella cadenza si deve solo fare lo sforzo di trovare l’escamotage in italiano per restituirla.
Chiaramente poi le difficoltà
cambiano d’autore ad autore.
Nel caso di Stoner non ho dovuto fare molto perchè quando un libro è ben scritto non devi fare molto. Secondo me
Williams lavorava tanto per avere una prosa apparentemente così semplice. Per lui la lingua era uno
strumento non un fine, a lui interessava raccontare gli esseri umani non
giocare a sperimentare con le parole e con la costruzione delle frasi. Quindi
tutta la fatica se l’era già fatta lui. Io all'inizio per cercare
di restituire la bellezza e la pulizia della prosa di Williams facevo delle
circonvoluzioni di parole un po’
più complicate della versione originale. E
molto spesso mi sono ritrovato a dovere tornare indietro e ad essere più fedele, per accorgermi che funzionava
pure in italiano. E’ una cosa strana
che non mi era mai successa prima. Perchè quando si traduce se si è veramente aderenti all’originale spesso ci si trova a scrivere
uno strano italiano. Nel caso di Williams invece no, sono stato io a fare due passi avanti e poi rifarli indietro e verificare di dovere
mantenermi più vicino alla sua
prosa. E’ stato un po’ come se lui mi avesse preso per mano
indicandomi la strada da percorrere.
E’ stato così anche per Butcher's Crossing, il suo
secondo libro?
Anche Butcher's Crossing è un bellissimo romanzo però linguisticamente Stoner è inattaccabile. In Butcher's Crossing
sono intervenuto in certi passaggi perché c’erano
delle piccole ripetizioni e siccome mi dispiaceva mantenerle nella traduzione
allora ho leggermente cambiato il testo. In Stoner questo non l’ho mai dovuto fare anche perchè lui era più maturo come scrittore. Ricordo che la
prima pagina di Butcher 's Crossing è stata micidiale da tradurre perché è una descrizione dettagliatissima dell’arrivo in calesse al villaggio del
protagonista. C’è una dovizia di
particolari nella descrizione del calesse e delle sue finiture che poi è tutta volta a restituire la scomodità e la fatica del viaggio. Era un
continuo dover cercare le parole e molto spesso era difficile trovarle perchè erano scomparse dall’inglese contemporaneo.
C’è una qualche parola che ti ha colpito
in Stoner?
No. Non c’è una parola in particolare. Ciò che maggiormente mi ha colpito è l’uso che Williams fa degli avverbi. Li usa spesso e
con grande precisione.
Quale
altro libro che hai tradotto ti ha regalato grandi soddisfazioni al pari di
Stoner?
Senza dubbio Nel Bosco (The Woodlanders) di Thomas Hardy, il primo libro che ho
tradotto. Era l’unico romanzo di
Thomas Hardy che non era ancora stato tradotto in italiano ed era proprio
meraviglioso. E’ stato molto più difficile di Stoner perché aveva una prosa lirica che quasi
sfiorava la poesia, un linguaggio aulico, difficile anche a livello lessicale.
E poi ho dovuto lavorare in fretta perchè era la prima traduzione che facevo per Fazi e mi
hanno veramente messo ai lavori forzati! Ho dovuto consegnarla in tempi record
perchè intervenivo su una prima stesura di
una traduzione che era stata fatta male. Ma piuttosto che sistemare quella sono
ripartito da zero, senza avere nemmeno un’altra traduzione italiana di riferimento. Era un
vero e proprio salto nel buio.
Dovevo tradurre dieci pagine al giorno e la sera piangevo dalla stanchezza e
dalla rabbia: però ciò che stavo facendo era talmente bello
che alla fine ancora adesso se mi capita di rileggerlo penso che sia una delle
cose più belle che abbia
fatto in vita mia. E la stessa cosa, con meno lacrime per fortuna, mi è capitata con Stoner.
C’è una frustrazione nel tradurre?
Sì. A volte pensi che l’originale sia più bello
e che non ce la farai mai a renderlo nella tua lingua. Mi è capitato con Thomas Hardy per esempio.
In The woodlanders c’erano
delle descrizioni naturalistiche che erano fantastiche ma talmente vicine alla
poesia da essere quasi intraducibili. In quel caso ci provi pur sapendo che la
tua traduzione non sarà
mai lontanamente la stessa cosa.
Come
lavori? Hai un metodo?
All’inizio ero proprio un pazzo, traducevo pagina per
pagina senza prima leggere tutto il libro perchè ero convinto che fosse più divertente scoprire il testo man mano che lo traducevo.
Invece adesso prima lo leggo tutto e poi mi metto a tradurre. Nel mio modo di
lavorare la prima stesura è
quella buona. E’ difficile che
lasci una pagina in sospeso, non sono uno che ritorna su quello che ha già fatto. E’ proprio una questione caratteriale. Ritorno solo
per perfezionare. Alla fine rileggo tutto prestando attenzione ai passaggi che
so essere i più delicati.
C’è una traduzione che ti ha colpito?
La traduzione di Cesare Pavese del Quarantaduesimo parallelo di John Dos Passos è molto bella. Mi viene anche in mente
la traduzione che Edoardo Nesi ha fatto con la collaborazione di Villoresi A. e
Giua G. di Infinite Jest di DavidFoster Wallace per la quantità
di lavoro che credo abbia richiesto.
Stai
lavorando a qualche nuova traduzione?
Mi hanno appena proposto di tradurre Nothing but the night il primo libro di Williams, un romanzo breve di ambientazione
metropolitana.
Stefano Tummolini (Roma, 1969) è laureato in storia e critica del cinema presso l’Università La Sapienza di Roma e lavora come scrittore, traduttore e film-maker indipendente. Ha collaborato alla sceneggiatura di alcune serie tv (Distretto di polizia, Il bello delle donne, Tutti pazzi per amore) e film per il grande schermo, tra cui Il bagno turco di Ferzan Ozpetek. Ha realizzato vari cortometraggi, tra cui Il tuffatore (1997) e L’orizzonte (2001) presentati al Torino Film Festival e Prova d’attrice (1999) presentato alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro. E’ autore di una monografia su Neil Jordan (Dino Audino Editore, 1996) e di un saggio sul melodramma cinematografico (Lo specchio della vita, Lindau 1999). Ha tradotto testi di autori classici e contemporanei dall’inglese e dallo spagnolo (tra cui Thomas Hardy, Miguel de Unamuno, Gore Vidal, Guillermo Arriaga, John Edward Williams) e ha collaborato come docente di scrittura cinematografica con la Scuola Holden di Torino. Nel 2005, due suoi racconti sono stati pubblicati nella raccolta Men on Men 4 (Oscar Mondadori) e nel 2008 è uscito il suo primo romanzo, La guerra dei sessi (Liberamente Editore). Un altro pianeta, il suo primo lungometraggio, è stato presentato alla 65° Mostra del Cinema di Venezia (sezione “Giornate degli autori”, premio “Queer Lion”) e al Sundance Film Festival (sezione “World drama”). Nel 2009 è stato candidato al Nastro d’argento come miglior regista esordiente.